31 ottobre 2006

Tempo


Tempo...
(Non possiamo farne a meno!)


Ho bisogno di tempo per amare ancora un po’
perché son cambiato molto dal tuo ultimo no.
Ho bisogno di tempo per essere come una volta
e cercar di riprendere il passo dopo quest’ultima svolta!
Ha bisogno di tempo il mangiatore di coltelli senza più appetito
come anche il clown non più divertito;
e così anche la ballerina ed il prestigiatore
vogliono il loro tempo per contare le ore!
Chiede tempo l’arbitro alla ricerca del cartellino rosso
mentre tutti i calciatori vorrebbero saltargli addosso!
E’ senza tempo la bomba che esplode in città
perché è il più grande esempio di viltà!

Pentitevi, non avete più tempo!” - dicono sempre tutti quelli che,
invece, se la prendono comoda bevendo un thè!
Ha bisogno di tempo la sposa per dire il suo si
mentre lui sta per morire lì per lì!
E vuole molto tempo questo motore per avviarsi
che, come il nostro amore, vuole un calcio per svegliarsi.
Vogliono tempo perfino i missili pronti per partire:
il tempo di un uomo che vuol far morire
il tempo degli altri, il nostro tempo!
E tu, mia cara, tu non hai mai pensato che anch’io ne avessi bisogno?

C’è voluto tempo finché mi adattassi a te:
giusto quello che ti occorreva finché ti fossi adattata a me.
C’è voluto del tempo finché imparassi ad amarti:
giusto quello che occorreva per cominciare ad odiarti!
Ha richiesto tempo perfino questa canzone per essere scritta:
giusto quello che occorreva perché io tracciassi la dura retta
tra il tuo mondo ed il mio, il tuo tempo ed io
che sono sempre accanto a te anche se non te ne accorgi!

Ha voluto tempo il presidente per mostrare il suo ultimo sorriso,
mentre in molte parti del mondo si muore perché qualcuno ha deciso
di fare la guerra invece che l’amore;
ed il tempo che resta, ormai, non ha nessun sapore!
Il tempo per capire che forse è meglio ascoltare.
Il tempo per capire che forse è meglio non parlare!

E perciò, ho bisogno di tempo per amare ancora un po’
perché son cambiato molto dal tuo ultimo no!
Voglio solo il tempo di chiedermi “Quanto tempo ho?”,
per poi farmi i conti per poter restare con te ancora un altro po’!

E, come il tempo che vola via,
fugge anche quest’ultima poesia...

Giugno-Luglio 1987

23 ottobre 2006

Silenzio... Ascolta...


Silenzio... Ascolta...
(Un incontro inaspettato?)


Silenzio...
Non lo senti che non c’è più nessuno
oltre me e te?
Non trovi sia troppo per uno
troppo a terra come me?

Perché mi dici che è diverso?

Tra noi due non è più lo stesso!

Perché mi parli di muri invisibili?

Siamo forse più insensibili?

Non pensi che sia solo un brutto giorno...
per me?
Non dà fastidio tutta questa gente intorno...
a te?

Mi dici che ti ho sorpresa

e che, forse, sei un po’ delusa...

Mi dici che ti ho incantata

per quando mi servivi e poi... buttata...

Mi dici che ti senti offesa

da questa tua lunga attesa...

Mi dici che non è niente

e che non t’importa della gente...

Ascolta...
Non senti che, ormai, non c’è più nulla
tra me e te?


30 Agosto 1988

18 ottobre 2006

Scarafaggi


«Hey Dick!»

«Ciao Mike. Anche tu qui?»

«Che vuoi farci, mi do da fare. Ma tu? Ti vedo piuttosto dimagrito e, anche a vestiti, mi sembri messo male.»

«Dopo la sciagura della settimana scorsa, noi pochi sopravvissuti siamo ridotti all’osso. Anzi, se non ti dispiace, io continuo la mia ricerca… quasi muoio dalla fame!»

«Sciagura? Che sciagura?»

«Non l’hai saputo? Hanno usato il gas.»

«Il gas? Maledetti!»

«Pare che uno di noi abbia fatto scoprire il nostro nascondiglio e ci hanno sterminati con un potentissimo gas. Accidenti, ho trovato i resti di un po’ di carne… E’ sufficiente a sfamarci per quattro giorni, ma ho bisogno di qualcuno che mi aiuti a trasportarla.»

«Posso aiutarti io Dick: ho già fatto una buona scorta di carne e vegetali per quasi una settimana. Ma, dimmi di più: come è successo?»

«Diavolo Mike, e come vuoi che sia successo? Eravamo tutti presi dal progetto New Esperanto che quasi non ci siamo accorti di nulla.»

«Eravate la Colonia 16?»

«Eravamo.»

«E a che punto eravate con il progetto?»

«Eravamo sul punto che riuscivamo a capire cosa dicono questi fottutissimi bestioni. Maledizione, ma perché abbiamo scelto giusto questo posto per venire a vivere?»

«Dick, la scelta è stata fatta troppo in fretta. Avevamo davvero pochissimo tempo per scegliere un altro pianeta con le caratteristiche simili al nostro…»

«La Terra… ormai sono talmente preso dai disastri quotidiani che quasi non ci penso più. E poi, adesso, sarà già ridotta in polvere, non credi?»

«Purtroppo si. Chi si aspettava che il sole esplodesse così presto? Ricordo che, ancora 10 anni fa, la cosa sembrava del tutto improbabile.»

«Che anno era sulla Terra?»

«2324.»

«E da quanto tempo siamo qui?»

«Sono già 6 anni.»

«Maledizione, ho quasi perso il conto! Chiuso qui dentro, non riesco più a capire quando è giorno e quando è notte!»

«Noi siamo riusciti a tenere in vita qualche orologio, ma pare che, in questo posto, le giornate siano scandite da un numero diverso di ore.»

«Sono già 6 anni che vivo nel buio per non farmi scoprire… Ma che vita stiamo facendo?»

«Ringrazia il cielo di essere ancora vivo. Aspetta, prendo quella trave: ci può servire per portare meglio tutta questa carne.»

«Ma questo non è vivere.»

«Dick, avresti preferito finire polverizzato sulla Terra? Oppure preferivi perderti nello spazio durante la traversata?»

«A questo punto non lo so più… So solo che sono esausto di dormire solo tre ore al giorno e dedicarmi tutto il tempo a questi assurdi progetti senza fine.»

«Il progetto New Esperanto era un ottimo progetto. E’ importantissimo riprenderlo e portarlo a termine.»

«Ormai io non ci spero più.»

«Ma ti rendi conto che, se riusciamo a comunicare con loro, forse riusciremo a sopravvivere?»

«Cambieresti idea se li sentissi parlare. Noi siamo riusciti a codificare qualche loro conversazione e ti assicuro che c’è poco da sperare… Ci considerano quasi come degli…»

«Zitto Dick! Ho sentito muoversi qualcosa. Rimani immobile: finché siamo al buio non corriamo alcun rischio!»

«Dannazione Mike! Ho una paura dannata!»

«Fermo! Non respirare! Sta venendo qualcuno… Speriamo non faccia alcun tipo di luce.»

«Mike, è sempre più vicino, lo sento»

«Si, è quasi sopra di noi, ma ancora non si è accorto della nostra presenza… Se siamo fortunati se ne andrà così come è venuto.»

«Accidenti, sono davvero enormi!»

«Non muoverti! Forse se ne sta andando.»

«Hey Mike, ho qui con me il decodificatore per il linguaggio di questi mostri. Vuoi usarlo?»

«Perché no Dick? Voglio proprio capire cosa dicono.»

«Tieni, è un residuo del progetto New Esperanto. A me viene il voltastomaco a sentirli parlare.»

«Perché?»

«Ti posso assicurare che hanno una bassissima opinione di noi… Ci vorrebbero tutti morti.»

«Dick, pare che se ne stia andando.»

«Meno male Mike. Dai, facciamo in fretta. Voglio arrivare al più presto al nuovo rifugio e portare questo cibo che sono riuscito a trovare.»

«Sei in un nuovo rifugio adesso?»

«Si, almeno finché la zona dove ci trovavamo prima non verrà risanata. Il gas che hanno usato è stato davvero micidiale. I nostri scienziati sono certi si tratta di un nuovo tipo, certamente più potente.»

«Che effetti ha avuto?»

«Paralizzanti. E’ qualcosa che ti entra nelle ossa e non permette più di muoverti.»

«E’ stato davvero un disastro.»

«Su Mike, muoviamoci. Questa carne pesa un quintale.»

Un rumore sordo. Poi una luce improvvisa, quasi accecante, illumina tutto l’ambiente.

Improvvisamente sento un urlo agghiacciante.

Io e Dick, istintivamente, fuggiamo in due direzioni diverse, lasciando lì il nostro carico di cibo.

Vedo Dick affannarsi per proteggersi dietro un muretto, ma è troppo stanco e affamato per correre come dovrebbe. Improvviso, un oggetto enorme, impugnato dall’orrenda creatura, gli si abbatte contro. Dick riesce a schivarlo per poco ma viene colpito ugualmente sulla gamba destra troncata di netto.

Fortunatamente – penso – negli ultimi decenni la scienza bionica ha fatto enormi progressi: le tute che indossiamo riescono automaticamente ad arrestare l’emorragia e a lenire il dolore all’istante. Così Dick riprende la sua corsa in modo più affannoso e disperato ma, il secondo colpo vibrato dal mostro non gli lascia più alcuno scampo. Il mio povero amico rimane schiacciato lì, senza aver avuto nemmeno la possibilità di vedere cosa l’ha ucciso.

Io sono riuscito ad intrufolarmi in una insenatura e riesco ad osservare tutto quanto sperando di non essere stato visto.

«Se usa il gas sarò morto!» – penso. Nel frattempo mi accorgo di aver lasciato ancora inserito il decodificatore e, non so perché, decido di accenderlo.

Ed ecco che i suoni spaventosi provenienti dalla creatura diventano per me più comprensibili. Ecco che inizio a capire.

«Ne ho visti due! Che schifo! Uno l’ho schiacciato ma l’altro si è nascosto! Prendo il gas e vedrai se non esce!»

Capisco che per me è finita. Capisco l’orribile ruolo che da anni ci è toccato di vivere.

Capisco che, forse, Dick aveva ragione. Lui è ancora lì, immobile, con l’unica gamba che ha ancora qualche sussulto solo per effetto nervoso. La nostra speranza di trovare un nuovo pianeta per poter continuare la nostra vita è stata distrutta. La presenza di questi mostri non era stata nemmeno ipotizzata. E adesso ci ritroviamo a fare i conti con loro e, per loro, noi non siamo altro che… scarafaggi.



Luglio 1999

15 ottobre 2006

(All) The ways where you’re gone



(All) The ways where you’re gone


Please don’t give me just another illusion
but keep me away from all this confusion.
Please don’t give me just another hope
but help me tryin’ to find my (wasted) hope.

I wanna be another man

I wanna do all, all I can

But I don’t know what you’re looking for

and I’ve forgotten

all the things that you know.


It’s not my best humour

you know

I don’t suffer all that rumours

and I say so...



So you search me just for my money
and I called you "Oh, oh my honey"!
So now don’t you turn around me again
if you want to save just your little name.

All the things are changed

all the things are falling down

And I don’t know what you’re looking for

'cause I’ve forgotten

all the ways where you’re gone.

It’s not my best humour

you know

I don’t suffer all that rumours

and I say you so

It’s not my best humour

you see

I don’t want to ask you that

on my bended knees.

(on my bended knees)

Sailing song

It’s nothin’ than a little

sailing song

Just a sailing song

It’s all I have

it’s only a sailing song

.....................................................
.....................................................

It’s not my best humour

you know

I don’t suffer all that rumours

and I say you so

It’s not my best humour

you see

I don’t want to ask you that

on my bended knees.

(on my bended knees...)

.....................................................
.....................................................



Dicembre 1987

06 ottobre 2006

Io e lei


Io e lei
(Con lei, sarà stupendo)


E siamo già pronti
ad affrontare il viaggio,
ad affrontare il peggio
muniti di coraggio.
E senza parlare
ci avviciniamo lenti;
abbiamo gli occhi stanchi
ma siamo sempre attenti...

Si prova a cantare
per stare un po’ uniti,
per stare un po’ seduti
parlando dei feriti.
Ma senza parlare
ci addormentiamo presto;
domani andrò a cercare
ancora un altro posto... con te.

Ti siedi a me vicino

cercando un po’ d’affetto;

mi prendi la chitarra:

non vuoi andare a letto.

Mi chiedi: “dai, suona

quel tuo motivo lento:

non essere più triste

‘ché domani sarà stupendo insieme a te”!

E ci raccontiamo
in po’ dei nostri giorni,
un po’ dei nostri anni
e dei nostri ritorni.
Ma, senza parlare
ci conosciamo meglio,
ci rivediamo dentro
e so che non mi sbaglio... perché:

Ti siedi a me vicino

cercando un po’ d’affetto;

mi prendi per la mano:

mi vuoi portare a letto!

Ti dico: “sei mia:

sei bella più del sole;

non sono più triste

‘ché domani sarà migliore insieme a te”!


27 Luglio 1988

03 ottobre 2006

La casa del gigante (terza e ultima parte)

Siamo arrivati ad uno spiano e davanti a noi c’è una casa in pietra lavica che sembra essere abbandonata. Ci abbassiamo per non essere visti e ci mettiamo un po’ più vicini.

Guardo il cielo che sembra quasi schiacciarci al suolo; è di un colore azzurro intenso e non si vede nemmeno una nuvola nemmeno a pagarla! La sua immensità mi fa quasi paura che smetto subito di guardarlo per cercare alcuni riferimenti che possano tranquillizzarmi.

«A che altezza saremo?» – penso e nel frattempo, girando la testa verso destra, riesco a vedere il carcere nuovo. «E’ davvero un bel posto dove costruire un carcere: anche se scappano, dove possono andare? Qui c’è solo la montagna e da qui non si va da nessuna parte» – rifletto e mi accorgo che, accanto a me, ci sono alcune piante di avena selvatica. Istintivamente ne strappo un po’ e la getto alle spalle di Davide che, nel contempo, si è girato per dire qualcosa a Puccio, secondo me, sempre troppo distratto sulla nostra missione. Le piccole spighe di questa strana pianta si attaccano sul suo maglione grigio e un paio finiscono sui pantaloni di velluto viola, proprio all’altezza del sedere. Mi scappa una risatina spontanea che riesco a trattenere a malapena girandomi verso Marcello che, notando tutto, mi sorride mostrandomi un OK con la mano destra.

D’improvviso un fischio ci paralizza tutti e quattro.

Nero si alza sulle sue zampe, drizza le orecchie e punta verso il sentiero che ci ha portato fin qui. Dopo un paio di secondi inizia a correre tornando indietro da dove siamo venuti.

«Accidenti!» – bisbiglio io – «E adesso che facciamo?»

«Non preoccuparti» – risponde mio fratello – «Non ce ne sarà bisogno: qui non c’è nessuno.»

È vero. Non c’è nessuno; la casa sembra proprio deserta: senza porta né finestre, ha davvero l’aria di essere stata abbandonata da anni.

Ci mettiamo in piedi.

«Ma allora non è vero che sta qui.» – inizia Puccio – «Sono le solite storie che racconta mio cugino.»

«Forse si» – gli risponde Marcello.

«E le pecore allora?» – chiedo io.

«Che c’entrano le pecore, Alessandro?» – interviene Davide.

«Dove stanno?»

«Le avranno portate via.»

«Ma da qui non si va da nessuna parte.»

«Che ne so io! Piuttosto cerchiamo di tornare che nostra madre si preoccupa.»

«Aspettate.» – ci interrompe Marcello – «Qui c’è qualcosa che non mi convince. Guardate: li l’erba è tutta bruciata.»

«Hai ragione.» – confermo io – «Cosa significa secondo te?»

«Non lo so ma non mi piace. Forse potrebbero essere atterrati gli UFO su questa montagna.»

Mi sento raggelare. Gli UFO? E come sono fatti questi UFO? Nessuno lo sa o, meglio, nessuno è mai tornato indietro per raccontarlo. Ma io non mi sento pronto per affrontare gli UFO. Non lo sono nemmeno per affrontare il gigante e sinceramente desidero tantissimo tornare indietro.

«Avviciniamoci alla casa; forse li troveremo qualche cosa.»

«Noi dobbiamo tornare» – dichiara schiettamente Puccio. «Io e Davide dobbiamo uscire con nostra madre.»

Detto questo, alzandosi in piedi, torna indietro per la strada che, pochi minuti prima, aveva preso anche Nero. Davide lo segue dopo averci salutato con un gesto della mano.

«E adesso? Come al solito ci hanno lasciati soli.» – inizio io un po’ seccato.

«Puccio non mi è mai sembrato molto convinto di salire qui. Facciamo così: ci avviciniamo a quella casa, vediamo cosa c’è dentro e poi ce ne torniamo anche noi; va bene?»

In fondo la cosa sembra semplice. «OK» – gli dico – «però sbrighiamoci.»

Ci alziamo e, con circospezione, ci avviciniamo alla casa.

Sento i miei piedi pesanti, come se dentro le scarpe ci fossero chili di terra, e il mio respiro è un po’ affannoso per via dell’odore intenso emanato da tutta questa vegetazione selvatica che ci circonda. Ma soprattutto sono stordito da tutto questo… silenzio! Un silenzio pesante, quasi opprimente, che mostra tutto quello che mi circonda in un modo surreale e fantastico.

Quanti metri ci separano ancora dalla casa? Dieci? Venti? Duecento?

La verità è che mi sembra di camminare da ore ma continuo a vedere quel mucchio di pietre immobile, come se, invece, non mi fossi mosso nemmeno di un solo passo.

Guardo il cielo che, adesso, sembra essere diventato bianco. Gli uccelli volano bassi ma tutti i suoni sono ovattati e sembrano provenire da mondi lontani, tempi infinitamente lunghi.

Mi volto e vedo ancora il carcere che adesso mi sembra lontanissimo. Sento un improvviso bisogno di orinare e mi chiedo se riuscirò a tenerla finché non saremo tornati indietro, ammesso di farcela.

Vedo mio fratello abbassarsi di scatto e, d’istinto, lo faccio anch’io. Siamo davvero giunti alla casa: la casa del gigante.

Noto una lucertola che si infila tra due sassi che fanno parte della struttura dell’abitazione e subito penso che andrà di sicuro a infilarsi sotto il letto o, magari, dietro il gabinetto in attesa di poter uscire di nuovo.

Da dentro non si sente nulla: la casa è davvero disabitata.

Ci alziamo lentamente e cerchiamo di guardare da dentro un’apertura formatasi a causa di alcune pietre mancanti.

Dentro è molto buio e riesco a distinguere ben poche cose: c’è una sedia in fondo, con lo schienale appoggiato al muro; c’è anche un mobile rozzo sul lato sinistro con sopra delle corde.

«Servono per legare gli intrusi» – penso e Marcello, quasi sentendo il mio pensiero, annuisce con aria preoccupata.

Continuo a sentire solo dei suoni molto deboli, come se passassero da un filtro di gommapiuma, e non riesco ancora a spiegarmi il motivo. Guardo ancora dentro e vedo un’altra cosa che mi fa sussultare: proprio di fronte a noi, sul lato parallelamente opposto al nostro, c’è l’entrata della casa; una porta di legno semi distrutta chiude un uscio di forma irregolare facendo comunque passare attraverso alcuni fasci di luce che rendono tutto ancora più tetro.

In questa casa potrebbe esserci qualsiasi cosa e noi stiamo cercando di vederlo da questo buco. Osservo ancora le pietre che compongono il muro e poi guardo mio fratello che sembra volermi dire qualcosa. Si agita molto e pare quasi urlarmi in faccia, ma io non riesco a sentirlo. Lo guardo, ancora intontito, fino a quando sento un fischio, stavolta proveniente dall’altro lato della casa.

D’improvviso una gran quantità di suoni e rumori sembrano arrivare tutti alle mie orecchie e l’impatto mi immobilizza.

Sento il vento, gli uccelli, i clacson delle auto in lontananza – che girano intorno al carcere – e, soprattutto, sento delle campane.

«Sono le pecore: il gigante è qui» – adesso riesco a sentire anche mio fratello e capisco subito il suo stato di agitazione. «Andiamocene di corsa.»

Non me lo faccio ripetere un’altra volta: mi alzo e mi preparo mentalmente quella che ha tutta l’aria di essere una ritirata strategica.

«Finalmente ce ne andiamo» – penso – «Ora ce ne scappiamo di gran corsa!» – mentre vedo già mio fratello precedermi.

Sto per mettere le ali ai piedi quando sento ancora un altro rumore: qualcuno sta aprendo la porta. Quest’ultimo evento mi fa pensare che avrei battuto tutti i record di corsa in discesa dalle montagne, ma ancora non mi muovo.

«Aspetterò finché non entra per vedere com’è fatto» – continuo a pensare ciclicamente e ripetendomi ogni volta che devo essere impazzito. «Non mi prenderà.»

Mi volto nuovamente verso l’apertura e vedo la porta aprirsi.

I pochi fasci di luce lasciano il posto ad un rettangolo abbagliante. Al centro riesco a distinguere un’ombra.

Sgrano gli occhi, cerco di mettere a fuoco, ma non riesco a vedere meglio di una macchia scura circondata da un bagliore accecante. Sento però di essere visto da lui che, immobile, mi fissa dall’uscio di casa sua.

Non so quanto tempo siamo rimasti a guardarci ma giuro che è stato abbastanza.

Sento le mie gambe muoversi e portarmi lontano da quella casa, come se fossero guidate da un’altra volontà. Chiunque sia a farmi correre adesso, credo che abbia indiscutibilmente ragione.

Finalmente mi volto per vedere dove stavo correndo: vedo fili d’erba secca alzarsi in aria, terra e polvere sollevarsi ad ogni mio passo, insetti di ogni tipo passarmi tra i capelli. Ma non importa: finalmente me ne stavo andando e nessuno sarebbe riuscito a prendermi.

Quasi raggiungo mio fratello e ci ritroviamo al punto dove Puccio e Davide ci avevano abbandonato: adesso inizia la parte più ripida ma per noi è uno scherzo.

Mi giro verso la casa che adesso mi sembra così lontana…


– o – o – o – o – o –


«Muoviti scimunito! Non lo vedi che sei in mezzo alla strada?»

«Chi?… Cosa?…» – Mi sento cadere da un’altezza indescrivibile, ritrovandomi di fronte ad una strada incredibilmente larga e impensabilmente lunga. Credo di aver sognato davanti ad essa, con la mia ventiquattrore adesso pesantissima – fino a trenta secondi fa non pesava quasi nulla – e con un’aria, appunto, da scimunito.

Mi sposto per far passare il mio cortese amico che mi ha riportato nel mondo reale senza guardarlo con cattiveria. Lui, invece, sembra aver bevuto il caffè con il sale.

Sto per riprendere a camminare, poi mi volto per un’ultima volta.

Dov’era il deposito di mio padre, adesso c’è un negozio in franchising di informatica; dov’era la stradina senza sbocco che curvava a sinistra, adesso c’è uno slargo a quattro corsie che immette alla circonvallazione.

La montagna non c’è più.

Chissà poi se era davvero una montagna; certamente sarà stata una collinetta alta non più di venti metri.

E il gigante? Che fine avrà fatto?

Sorrido pensando contemporaneamente due cose: la prima è che, se si potesse avere la fortuna di scegliere un posto dove morire, io sceglierei sicuramente questo; l’altra è che, se veramente è esistito un gigante della montagna, io sono stato l’unico a vederlo.